In queste ultime settimane si è tornati a parlare di spread, chiaramente quello tra i titoli di stato tedeschi e il nostro Btp. Perché? La ragione è che dopo tanto tempo di apparente calma, lo spread, ma in generale i tassi, stanno tornando a salire. E prima del previsto.
L’inflazione nell’Eurozona è sopra al 5%, pertanto anche le convinzioni della BCE di poter rimandare l’aumento dei tassi di interesse al 2023 sembrano vacillare. Negli Usa la Fed è molto più aggressiva e si annunciano diversi aumenti nel corso dell’anno. La banca centrale britannica ha appena alzato i tassi annunciandone un altro a breve. E’ evidente che la Banca Europea non possa far finta di nulla. Per ora ha rimandato la decisione a marzo, rinvio però sibillino perché è ovvio che tra un mese la situazione inflattiva non sarà certo cambiata (anzi, i prezzi delle materie prime stanno ancora aumentando e quindi a cascata ciò si riflette su tutta la filiera).
Gli analisti ormai danno per sicuro un intervento anche da parte della BCE per quest’anno, e forse due. E come al solito i mercati anticipano le notizie, pertanto i tassi di interesse si stanno muovendo di conseguenza. Una duplice brutta notizia per il nostro paese. Avendo un alto debito infatti pagheremo più interessi. Inoltre con il venire meno degli acquisti da parte della BCE, lo spread tornerà sicuramente a salire. Aumento doppio quindi. Perché anche i tassi dei Bund stanno salendo, ma quelli del Btp ancora di più. Quindi l’aumento dello spread rappresenta solo una parte dell’aumento degli interessi che lo Stato dovrà pagare.
All’orizzonte poi abbiamo l’elezioni 2023. Draghi ormai è in scadenza, porterà avanti l’ordinaria amministrazione per raggiungere i paletti posti dal PNNR, ma non potrà incidere molto. E c’è da dire che nonostante i grandi proclami dei giornali, per ora i risultati italiani non sono così esaltanti. Del resto fare un miracolo in una situazione critica aggravata dalla pandemia era impossibile. La realtà è che da anni il debito dell’Italia è tenuto in piedi dagli interventi della BCE. Senza saremmo già falliti.
E se si vanno a guardare i fondamentali, non sono certo buoni. Il rapporto debito/pil ha superato quota 150, quando durante la crisi del 2011 eravamo appena sopra 110. Il tanto esaltato aumento del Pil 2021 è stato anzitutto un rimbalzo visto che non abbiamo recuperato nemmeno il calo del 2020. La cosa forse più grave è che al momento, più che investimenti, si sono distribuiti buoni e incentivi. Pur lasciando perder redditi di cittadinanza e bonus vari, lo stesso bonus edilizio del 110% rischia di trasformarsi in autogol. Il generoso, probabilmente troppo, incentivo ha spinto infatti la creazione di tante nuove società improvvisate. E anche trascurando le truffe, una volta che l’incentivo avrà termine, l’edilizia si fermerà quasi completamente.
Su tutto si aggiunge l’aumento delle materie prime. L’inflazione non è certo un male assoluto e in una certa misura aiuta a ripagare il debito. Ma qui stiamo parlando di inflazione da materie prime, vale a dire beni che l’Italia non ha e importa. Beni il cui aumento si ritorce sulla filiera produttiva tanto che sta già frenando la ripresa delle industrie, ciò che veramente ha fatto rimbalzare il Pil nel 2021. Le PMI italiane rischiano di trovarsi strangolate tra costi in aumento a cui si aggiungerà il costo del credito per via dell’aumento dei tassi. Senza più la garanzia statale. E a quel punto addio crescita. Senza considerare che i fondi europei hanno fatto dimenticare che l’Italia dovrà restituirli, così come ripagare il debito. Prima o poi lo Stato quei soldi dovrà trovarli.
Insomma, il quadro non è così entusiasmante come appare dai giornali. Del resto siamo il paese che vive sull’emergenza. Quando arriverà sarà il governo in carica a assumersene oneri e onori. Ma sempre che si riesca a far un governo stabile dopo le prossime elezioni, chi avrà il coraggio di tornare a tirare i freni dopo che per un paio d’anni la parola d’ordine è stata spendere?
Per i risparmiatori italiani il rischio è di ritrovarsi catapultati nel passato con altre tensioni sul debito. Prima o poi i nodi verranno al pettine. La Banca Centrale Europea ha ormai esaurito il suo compito. Se in Europa prevarrà la visione nordica di tedeschi, olandesi etc., l’Italia dovrà tornare a stringere pesantemente la cinghia. E come chiede l’Europa, far pagare ai propri cittadini il dovuto prima di batter cassa in Europa. Leggasi tasse, patrimoniale etc. Per questo le soluzioni rifugio torneranno presto in auge. Non subito certamente, ma nemmeno così tardi come si pensava solo qualche mese fa. Una possibilità è quella di aprirsi vie di fuga, come per esempio un conto in Svizzera. Da solo non basta, ma in ottica diversificazione del rischio funziona e permette di aver fondi che non saranno a rischio blocco in caso di future crisi. Oggi è anche possibile aprire un conto online e a zero spese, come riportato nella guida Conto in Svizzera.