Il bitcoin da tempo ha un trend in saliscendi. La valuta digitale è balzata ai massimi da oltre un anno, superando quota 28.000 (+8%) per poi scivolare a circa 26.300 dollari.
La volatilità, tipica nel mondo dei cripto, è l’effetto del flusso di notizie in materia di Exchange traded fund (Etf). Tre giorni fa una corte statunitense ha intimato alla Sec di rivedere il proprio diniego riguardo all’ Exchange traded fund di Grayscale. Ovvio che, in scia a questa “news” il bitcoin sia balzato all’insù. L’aspettativa è che possa avvicinarsi il fatidico “ok” al primo Etf spot sulla cryptocurrency.
In particolare, il mercato monitora le sorti del prodotto di BlackRock. Ciò detto, la sicurezza che arrivi il “nulla osta” non c’è, da qui il saliscendi del bitcoin.
Ma le turbolenze possono esser determinate anche dall’attuale politica monetaria?
In una pubblicazione del Fondo monetario internazionale, in un working paper, si parte dalla constatazione che le principali cryptocurrencies sono fortemente correlate tra loro. Il bitcoin, ad esempio, ha un sincrono medio del 58% con gli altri titoli digitali. Esiste, quindi, un fattore cripto (“crypto factor”) in grado di co-muovere i prezzi dei token.
Si tratta, a ben vedere, di una condizione la quale – a detta dei ricercatori – è esistente anche nei mercati azionari tradizionali. A fronte di ciò gli esperti hanno definito nelle stesse Borse “equity” un indicatore sintetico: l’ “equity factor”. Ebbene: attraverso l’analisi di molteplici dati, è saltato fuori che i due “factor” erano piuttosto de-correlati prima del 2020. Dalla metà di quell’anno in poi, però, il legame tra i due indicatori sintetici (e quindi tra il mercato azionario e quello cripto) è cresciuto. In particolare, i titoli digitali sono andati a braccetto con le società tecnologiche o a piccola capitalizzazione.
A fronte di una simile dinamica la domanda è: che cosa contribuisce a far salire la correlazione? “Una prima parte della risposta riguarda il fatto che è mutata la tipologia dell’investitore prevalente nei cripto asset”. In precedenza, soprattutto in scia allo “stay at home” conseguente al Covid e all’incremento del trading online, i dati mostrano che c’era la preponderanza dell’operatore retail. Successivamente il centro del palcoscenico è stato preso dall’investitore istituzionale.
“Quest’ultimo, altamente esposto sui mercati tradizionali, ha di fatto creato un legame diretto tra il mondo cripto e le Borse”.
In una simile situazione sono entrati in gioco i meccanismi legati alle strategie d’investimento degli istituzionali stessi.
Nel momento in cui si concretizza uno shock, quale quello del rialzo dei tassi da parte della Fed, da una parte aumenta il costo della leva degli operatori e, dall’altra, viene impattata la loro capacità di sopportare il rischio di mercato.
Il risultato finale? Aumenta l’avversione al rischio degli istituzionali. In altre parole: le mosse delle banche centrali influenzano le strategie di questi operatori i quali, da parte loro, incidono sui token digitali.
A fronte di queste condizioni una stretta della politica monetaria porta al persistente aumento della “risk adversion” nel cripto mondo. E quindi, in scia alle vendite dei titoli digitali per ridurre la leva, all’ulteriore calo dei prezzi. Anche per questo la tesi, almeno fino ad oggi, secondo cui il bitcoin può essere considerato un asset per coprirsi nelle fasi di ribasso dei mercati tradizionali non è valida.
Ti ricordo che da quest’anno le criptoattività sono soggette a monitoraggio e tassazione. Non farti trovare impreparato perché con lo scambio di informazioni internazionale è ormai impossibile mantenersi anonimi. Trovi tutti i dettagli nella guida Tassazione Bitcoin e Cripto 2023.