Banca d’Italia, nel rapporto sulla stabilità finanziaria, ha lanciato l’allarme. A inizio dicembre, in corrispondenza con il referendum costituzionale, ci sarà un forte picco della volatilità del mercato azionario italiano.
Allarme ripreso da tutti i principali giornali. Ma in realtà i mercati finanziari italiani già da qualche settimana scontano l’incertezza politica legata al prossimo referendum.
I mercati finanziari hanno infatti velocemente dimenticato i timori per l’elezione di Donald Trump premiando anzi la borsa Usa e il dollaro. Ed ora si sono focalizzati sul referendum italiano
del 4 dicembre. Ma, come detto, è già da tempo che sul paese c’è tensione. Ne è testimone il rialzo dei rendimenti dei titoli governativi italiani degli ultimi mesi. Il Btp a 10 anni, che rendeva l’1% ad agosto, è ora al 2,17%. Con uno spread nei confronti del Bund tedesco, pari a 182 punti, e superiori di 50 punti anche rispetto alla Spagna. Nell’ultima settimana poi, in un clima internazionale mediamente positivo, la nostra Borsa ha perso nettamente. Trascinata al ribasso dai titoli bancari sempre più in crisi e in pericolo.
Il rischio Italia
L’attenzione sull’Italia è generata anche dalle trattative con la UE in merito alla legge di stabilità che sfora gli accordi presi. Il referendum di fatto rappresenta la scusa, l’evento che la speculazione potrà sfruttare per colpire i titoli obbligazionari e azionari italiani (anche se di fatto ha già cominciato a farlo).
Una crisi politica potrebbe certamente comportare conseguenze e in particolare riflettersi sulla fiducia e la crescita (per ora molto stentata) dell’economia. Ma il fatto è che l’Italia non sembra a prescindere in grado di uscire dalle secche (a differenza degli altri paesi cosiddetti PIIGS). E gli speculatori lo hanno capito e aspettano semplicemente la scusa per colpire.
La legge finanziaria presenta infatti evidenti assurdità di carattere elettorale o corporativo.
Persino l’Europa, che chiaramente deve soprattutto in questo momento sostenere di facciata il governo, è stata costretta a segnalare alcune criticità.
Se per esempio è comprensibile la spesa per il terremoto (anche se volutamente esagerata nei numeri), è fuori da ogni logica che un paese, stra-indebitato, in crisi, con un’alta disoccupazione e giovani laureati che emigrano, spenda oltre 4 miliardi di euro l’anno per la gestione degli immigrati. Basti pensare che l’Europa, tutti i paesi insieme, ha pagato meno di questa cifra alla Turchia per bloccare l’esodo dal Medioriente.
In pratica tutta l’Europa ha sborsato una tantum la stessa cifra che il nostro solo paese paga ogni anno (e nella somma sono inclusi solo i costi diretti, ma dovremmo considerare anche i costi di trasporto, sanità, polizia, politica etc.).
La gestione dell’immigrazione, al di là degli impatti sulla sicurezza (si vedano i fatti di Milano) di cui non mi interessa parlare, spiega bene l’assurdità della politica economica dell’attuale governo.
Il confronto Italia – Germania
Confrontiamo la situazione italiana con la Germania. Il paese presenta il maggior avanzo commerciale al mondo, tanto che più volte pure Usa e Cina se ne sono lamentati (e si spera che ora Trump sia più incisivo). Così facendo la Germania viola di fatto anche i trattati europei e soprattutto gode doppio dall’essere nella UE. Può infatti esportare bellamente in tutto il mondo con una moneta sottovalutata rispetto alla sua forza economica e attirare al contempo capitali (e aggiungo pure risorse umane, vedi gli ingegneri nostrani) dai paesi Euro, tanto da avere tassi negativi sui titoli pubblici.
I capitali insomma, che arrivino da transazioni finanziarie o commerciali, finiscono tutti in Germania. Paese che quindi dovrebbe, anche sulla base dei trattati europei, attuare una politica di aumento dei consumi interni che riduca questo scompenso (visto che una parte dei consumi si tradurrebbe in importazioni e quindi aiuti agli altri paesi).
La Germania invece se ne guarda bene, ma incita i paesi vicini ad applicare la politica che loro non fanno. E purtroppo trovano pure i polli, come il nostro governo, che li ascoltano.
L’Italia infatti dovrebbe attuare una politica di crescita basata anzitutto sugli investimenti, non sui consumi. Dovrebbe quindi favorire la sburocratizzazione e la semplificazione, il taglio della spesa pubblica, la riduzione delle tasse soprattutto per le aziende e per il lavoro.
Invece di tagli alla spesa nemmeno l’ombra (nonostante sia da 4 anni che si parli di spending review), il taglio dell’Irap e di altre tasse è stato continuamente rinviato per altre priorità. Quali sono queste altre priorità? Dare 80 euro al mese a chi già lavora, 500 euro a caso tipo a chi compie 18 anni, aumentare le pensioni minime di gente che evidentemente di contributi ne ha pagati pochi etc. Tutte azioni senza un senso che, nella visione del governo, dovrebbero aumentare i consumi. Proprio il contrario di quello che dovremmo fare. Cosa credi infatti che facciano le persone con quegli 80 euro in più al mese? In parte li risparmiano (visto le incertezze del periodo), in parte li spendono, soprattutto in prodotti asiatici e teutonici. Finanziamo insomma l’esportazione tedesca, coreana e cinese!
Il governo insomma punta meramente ad un aumento del Pil effimero e fine a se stesso, ma di corto respiro. E anche in tal senso si deve leggere la politica sugli immigrati, che altrimenti non troverebbe spiegazioni se non nella follia umana o nell’intento criminale.
Il governo italiano infatti cerca di sfruttare le emergenze (il terremoto e gli sbarchi) per ottenere permessi a spendere di più del dovuto. Lo si è visto quando ha insistito affinché queste due voci di spesa non fossero conteggiate nel novero dei limiti di spesa UE.
Ma se il terremoto è una vera emergenza, l’immigrazione è un’emergenza solo perché mal gestita (e a questo punto si deve pensare che sia voluto). Al governo non interessa nulla dei problemi che la malagestione crea a comuni e cittadini (vedi Milano), o del fatto che i soldi spesi potrebbero essere utilizzati per politiche del lavoro serie (evitando che i nostri giovani, diplomati e laureati, scappino a Londra o in Germania). O soprattutto, che questi soldi spesi e bruciati al volo, generano all’inizio un aumento del Pil (ricordi la storia del ponte che crolla?), ma di per sé improduttivo negli anni a venire. Mentre il debito, aumentato per queste spese, sarà reale anche e soprattutto per gli anni a venire.
La realtà dei fatti, che i mercati finanziari ben conoscono, è che oggi tutti gli indicatori economici italiani sono peggiori di quelli della crisi del novembre 2011 che portò alla ribalta il governo Monti. Purtroppo i media nazionali di questo tacciono. Ma il fatto che in una situazione contingente così favorevole, con petrolio e tassi ai minimi storici, l’economia italiani ancora stenti e il debito pubblico continui a salire, è drammaticamente serio.
Se e quando i tassi di interesse torneranno a salire (e abbiamo già visto che lo stanno già facendo) l’Italia si troverà a dover pagare miliardi in più di interessi. E con cosa pagherà visto che le tasse sono già altissime?
La crisi delle banche italiane
A peggiorare la situazione si aggiunge la situazione delle banche italiane. Monte dei Paschi di Siena è formalmente fallita (il costo dei derivati di copertura sul titolo, i CDS, lo dimostrano). Di fatto siamo al bail in, tanto che ormai è evidente che anche le obbligazioni subordinate (e forse anche quelle ordinarie) dovranno essere convertire per un aumento di capitale che nessuno vuole sottoscrivere.
Popolare Vicenza e Banca Veneto, dopo esser state salvate e acquisite dal fondo Atlante, necessitano di ulteriore liquidità. Un altro aumento di capitale che necessiterà di fondi delle altre banche e della Cdp. Così come potrebbe succedere per Banca Carige.
Tre delle quattro banche salvate a fine 2015 (Etruria, Marche e Chieti) potrebbero finire a Ubi Banca che si accollerà probabilmente un altro aumento di capitale. Cassa di Ferrara invece verrà fatta fallire con l’intervento del fondo interbancario a favore dei correntisti.
Speculazione o realtà?
I salvataggi sono fatti a spese dello Stato e delle banche sane (ma non dei banchieri responsabili). E di banche sane ce ne sono sempre meno, tanto che pure Unicredit si appresta ad un aumento di capitale di circa 13 miliardi di euro. Il rischio bancario ed il rischio paese quindi è altissimo e i numeri reali, nascosti solo dalla politica Bce e dalla propaganda, sono ben noti agli speculatori. Che per quanto cattivi e avidi, non fanno che sfruttare le inefficienze del nostro sistema (e dell’Europa a trazione tedesca).
Non stupisce quindi che i dati della Bce testimonino la fuga di capitali in atto, ormai tornata a livelli di alcuni anni fa. Tanto che sono tornate le fila a Lugano per l’apertura di un conto in Svizzera. Non è quindi il referendum il problema, al massimo è la miccia di un paese che non vuole pensare al futuro e affronta i problemi con la solita furbizia di breve periodo che ci si ritorcerà contro. Ed è un vero peccato perché il paese presenta, a differenza anche di situazioni più stabili come Francia e Spagna, un sistema di imprese sano e che fa utili. Basterebbe appunto spingere su questa via, invece di pensare a furbate per aumentare la spesa per consumi!
Nel frattempo, per i tuoi investimenti meglio stare alla finestra in attesa che passi la tempesta, e magari iniziare a mettere veramente qualcosa in Svizzera.