Come previsto, la Federal Reserve ha interrotto la serie di rialzi del costo del denaro, prendendo una pausa con i tassi fermi ai massimi del 2001 nell’intervallo 5,25-5,50. È stata però preannunciata la possibilità di un nuovo rialzo entro la fine dell’anno prima di una lunga pausa che potrebbe portare non prima della fine del 2024 ai primi tagli.
Wall Street ha avuto una reazione negativa con il Dow Jones, il Nasdaq e l’S&P 500 che hanno virato al ribasso a fine giornata, proprio per i timori di una lunga stagione di tassi fermi ai massimi storici. Diversi analisti si attendevano segnali di un cambio di direzione più chiari.
Ma il dato più interessante che emerge alla fine della due giorni di incontri della Fed è quello sulla crescita che è stata rivista in positivo, con le previsioni del Pil per il 2023 al 2,1%, il doppio rispetto alle stime precedenti, e quelle per il 2024 alzate dall’1,1% all’1,5%, segnalando una economia forte.
Anche l’inflazione continua a essere vista lontana dal target del 2%: le stime della Fed dicono che dovrebbe scendere al 3,3% entro la fine dell’anno, al 2,5% entro al fine del 2024 e al 2,2% entro la fine del 2025. Toccherà il 2% solo nel 2026. Al contrario di Wall Street, ieri i rendimenti dei bond americani hanno continuato a salire, dopo che martedì avevano raggiunto i massimi dal 2007.
A partire dal marzo del 2022 la Fed ha fatto 11 rialzi, dopo anni in cui i tassi erano rimasti praticamente vicini allo zero. La decisione di aumentare in modo aggressivo il costo del denaro serve, nella strategia della Fed, per rallentare la crescita economica e domare l’inflazione, portandola verso il target del 2%: i dati del mese di agosto mostrano come la strategia stia avendo effetti tangibili, visto che dopo i picchi del giugno del 2022 quando aveva superato il 9% ora viaggia attorno al 3,7%.
Il prossimo incontro della Fed è previsto il 31 ottobre e 1 novembre – dove ci sarà probabilmente il rialzo dello 0,25% – e poi ancora in dicembre, quando ci si attende una nuova pausa.
Ora bisogna capire come la decisione della Banca centrale americana oggi si riverbererà sui mercati mondiali, in particolare su quelli europei. Le Borse del Vecchio continente hanno reagito negativamente per ora temendo una fase di tassi alti più lunga del previsto anche in Europa.
Eppure è evidente la differenza fra le due realtà. In America l’economia mostra segni di forza e continua a salire a buoni livelli sopra l’1%. In Europa invece ci attende una crescita lieve sotto l’1% con alcuni paesi, in testa Germania e Olanda, in recessione. Seguire la stessa politica monetaria potrà quindi esser deleteria per noi visto che è evidente che l’inflazione non sia determinata dalla domanda (consumi e investimenti calano) ma da problemi dell’offerta inteso come rialzo nei beni energetici ma anche nelle materie prime e nei prodotti per la lavorazione industriale a seguito di colli di bottiglia e reshoring della produzione.