La diversificazione è una delle regole base dell’investimento. Eppure non è così semplice da capire per il risparmiatore medio. Il libro Perché gestiamo male i nostri risparmi di Paolo Legrenzi spiega come l’insufficiente diversificazione sia uno dei principali errori dei piccoli investitori.
E’ infatti naturale che una persona chieda al proprio consulente di indicargli i titoli migliori in cui investire. Del resto, in ogni settore, il cosiddetto esperto conosce solitamente la soluzione migliore per un problema. Nel settore finanziario invece non è così.
Non c’è un titolo migliore per tutti, occorre diversificare per far fronte al rischio e all”instabilità dei mercati finanziari. La stessa teoria finanziaria continua ancora ad applicare questo principio. Un recente studio dimostra che gli investitori privati dovrebbero concentrarsi più sul raggiungere i loro più importanti obiettivi finanziari, disinteressandosi dall’andamento giornaliero dei mercati, piuttosto che tentare di battere i mercati finanziari. Questa ricerca propone un modello di ripartizione degli investimenti basato su tre strati sovrapposti, differenziati per obiettivi e per grado di rischio: sicurezza, investimento e aspirazionale.
I livelli di diversificazione finanziaria
Il primo strato è quello della sicurezza e quindi degli investimenti meno incerti, come possono essere i titoli di Stato in euro di alcuni emittenti sovrani e sovranazionali dell’Eurozona. Qui la diversificazione è importante, ma non troppo. Prendi un Bund tedesco, o una Bei, e il più è fatto.
Il secondo strato è quello del portafoglio di mercato. Si tratta di un portafoglio rappresentativo di tutte, ma proprio tutte le attività esistenti sui mercati internazionali, nelle varie valute: obbligazionario, azionario, materie prime, immobiliare e così via. Poiché nessuno sa come sarà il futuro, il portafoglio più efficiente è quello che replica tutto l’universo investibile, attivamente o passivamente. Qui l’importanza della diversificazione è massima.
Sia il primo che il secondo strato sono difensivi, non consentono quindi di aumentare notevolmente il capitale. Chi lo desidera, e ovviamente ha i mezzi disponibili per lo scopo, deve aggiungere un terzo livello, lo strato aspirazionale, in cui anziché diversificare occorre concentrare al massimo il rischio. Spesso questa concentrazione coincide con una attività imprenditoriale, che nel 60% dei casi (almeno negli Stati Uniti) è all’origine degli uomini più ricchi riportati ogni anno dalla classifica di “Forbes”. Si pensi anche al recente caso dell’investitore che 20 anni fa puntò tutto sulla Berkshire di Buffet, ed oggi è entrato in questa classifica.
Ma se è vero che chi non prende rischi non può diventare ricco è anche vero che evita di finire in povertà. Per ogni storia di successo, ce ne sono molte di più di segno inverso, ma che non vengono raccontate.
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