Un’interessante articolo di Borsa & Finanza mi dà lo spunto per fare un confronto fra il fallimento argentino e i fatti di cronaca recente sulle obbligazioni greche.
Il caso Grecia è stato accostato da molti, anche dai piccoli investitori, al default dell’Argentina, nel tentativo di prevedere futuri scenari per i possessori di obbligazioni. Ma un’attenta analisi porta a dire che i due casi sono molto differenti, soprattutto per quanto riguarda le cause della crisi e le prospettive future. L’unica cosa in comune è la resa dei conti finale, in cui gli errori commessi vengono fatti pagare ai creditori.
Il fallimento dell’Argentina e della Grecia
L’Argentina nel 2001 aveva un debito pubblico di 132 miliardi di dollari, non così preoccupante visto che rappresentava solo il 50% del PIL. Il problema argentino era di aver legato la sua moneta, il peso, al dollaro; una parità di cambio non sostenibile nel lungo periodo. L’Argentina si ritrovò a fronteggiare una forte recessione e di conseguenza un’alta disoccupazione. Decise quindi di sganciarsi dal dollaro e svalutare la moneta e di conseguenza le proprie obbligazioni (il cui pagamento in dollari non era più sostenibile dopo la svalutazione).
Come sia andata per gli obbligazionisti è noto. Dopo un primo swap (a cui pochi italiani hanno partecipato) è stata fatta una seconda offerta di scambio (comunque peggiore della precedente) per chiudere il conto. Chi non ha aderito né alla prima né alla seconda, anche se ancora in causa, si ritrova oggi penalizzato rispetto a chi ha negoziato lo scambio.
Nel caso argentino il fallimento dello Stato fu dichiarato anche se come detto non dipendeva da un eccesso di debito pubblico. Dopo il default l’Argentina, superato un primo periodo di turbolenza, è tornata a crescere. Da anni presenta un PIL in forte crescita accompagnato però da alta inflazione. La ripresa economica non è dipesa solo dalla svalutazione (che ha ovviamente reso più conveniente i prodotti nazionali) ma anche dalla congiuntura internazionale. Il paese è infatti ricco di materie prime e soprattutto prodotti agricoli; ha quindi beneficiato della crescita della domanda e dei prezzi causata dalla richiesta dei paesi in via di sviluppo.
Il caso greco
Nel caso della Grecia il problema è il forte debito pubblico oggi arrivato a 300 miliardi di euro, il 160% del PIL. Come l’Argentina anche lo stato ellenico è ancorato ad una moneta forte, con la sostanziale differenza che questa moneta forte è la moneta nazionale della Grecia.
Anche dal punto di vista economico la situazione è più tragica di quella argentina. E’ infatti in corso una forte recessione di uno Stato che conta soprattutto su industrie “povere” quali turismo e trasporto marittimo, presenta una forte presenza di lavoro pubblico e alta evasione fiscale.
Questa settimana si chiuderà lo swap delle obbligazioni greche e il futuro della Grecia sarà più chiaro (swap che rappresenta di fatto un fallimento dello Stato, anche se non dichiarato). L’offerta di scambio sulle obbligazioni greche rappresenta il maggiore fallimento di uno Stato, superiore anche al default argentino. Ma per molti, incluso il sottoscritto, anche il successo di questa operazione sarà solo un rinvio dei problemi. Già oggi si prevede che a breve, probabilmente nel 2013, la Grecia necessiterà di altri 50 miliardi di euro di aiuti. Nel frattempo le cure di rigore imposte dall’Europa e dal FMI aggraveranno la recessione e la disoccupazione nel paese. Appare quindi evidente come la sorte più probabile sia l’uscita della Grecia dal sistema europeo ed un ritorno alla dracma. La svalutazione della moneta (che potrebbe arrivare in breve al 50%) comporterà un forte aumento dei prezzi ma consentirà all’economia di risollevarsi nel medio termine.
Conseguenze per le obbligazioni greche
Questo scenario, che come detto oggi è il più probabile, deve essere ben ponderato dai detentori di obbligazioni greche. In caso di ritorno alla dracma il debito ellenico sarà convertito nella nuova moneta, perdendo ovviamente di valore. La svalutazione potrebbe quindi colpire anche i titoli offerti nello scambio (ad esclusione di quelli emessi dal fondo europeo che rimarranno in euro) e sicuramente colpirà gli eventuali bond non soggetti allo swap. Anche nel caso in cui si riuscisse ad evitare lo scambio quindi, non si deve pensare di ottenere sicuramente il pieno rimborso delle obbligazioni in portafoglio. Questo potrebbe succedere solo per i titoli a breve scadenza, mentre i restanti potranno essere soggetti alla svalutazione della moneta o a nuove offerte di scambio. La crisi della Grecia non finirà con questo swap.
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