L’ultima manovra, oltre all’ormai famosa quota 100, ha introdotto un’altra novità in tema di pensione e previdenza. Uno sconto fiscale per i pensionati stranieri (o gli italiani già all’estero) che prendano residenza in una città del sud Italia. Una manovra non nuova visto che da anni lo fanno altri paesi, ci si chiedeva infatti perché l’Italia non facesse altrettanto visto che il nostro Mezzogiorno può essere attraente per gli europei del nord che vogliano passare mesi al caldo e mangiando la cucina italiana.
Il Sole 24 Ore ha pubblicato un interessante articolo su quali paesi oggi offrano questi incentivi. Andare in pensione dove si pagano meno tasse è infatti una moda che i nostri connazionali seguono da tempo. Secondo i dati Inps, le pensioni pagate all’estero nel 2018 costano oltre un miliardo di euro e sono state erogate a circa 400 mila persone in 160 Paesi, con vitalizi record a chi si è trasferito a Cipro e negli Emirati Arabi, ma anche in Portogallo. A favorire l’emigrazione ci sono il minor costo della vita, in particolare nei Paesi dell’Est Europa, e le politiche di defiscalizzazione o esenzione dei redditi da pensione nel Paese estero.
Ma quali sono i regimi più convenienti per chi vuole valutare l’espatrio? E soprattutto quali sono i rischi insiti nella normativa fiscale italiana di questa nuova tendenza? Come fare per evitare contestazioni da parte dell’erario?
«La possibilità di ottenere un beneficio fiscale dipende, in primis, dalla possibilità di perdere la residenza fiscale italiana – precisano Federico Balbiano e Luca Valdameri, fiscalisti dello studio Pirola, Pennuto, Zei e associati –. Se il pensionato si trasferisce all’estero ma mantiene la residenza in Italia non ha diritto ad alcuna agevolazione». Dal 2006, peraltro, i Comuni con l’azione congiunta dell’Agenzia delle Entrate effettuano specifici controlli sui trasferimenti di residenza all’estero.
Per poter lasciare la residenza fiscale italiana occorre rispettare le seguenti regole (art. 2, co.2 del Dpr 917/86) spiegano i fiscalisti:
- cancellarsi dall’Anagrafe della popolazione residente e iscriversi all’Aire (anagrafe degli italiani residenti all’estero). La mera dimenticanza comporta una presunzione di residenza in Italia difficile da vincere;
- soggiornare in Italia meno di 183 giorni. È opportuno che il pensionato mantenga un “diario” per dimostrare agevolmente la propria residenza estera ed evitare contestazioni;
- non mantenere in Italia il proprio “centro di interessi vitali”. «Questo è il criterio più importante in quanto viene spesso utilizzato dall’Agenzia delle Entrate per contestare la residenza in Italia – spiegano Balbiano e Valdameri –. Per esempio non si dovrebbero mantenere in Italia immobili, rapporti con intermediari finanziari e neanche lo stesso conto corrente su cui è accreditata la pensione». Questo specifico criterio prevede infatti che il pensionato “ricostruisca” i propri legami personali nel Paese estero, ad esempio richiedendo il passaporto estero, iscrivendosi a club o circoli, utilizzando immobili o autoveicoli esteri. Inoltre, ai fini del conseguimento di un risparmio fiscale, anche la scelta del Paese estero di residenza è importante, in quanto lo stesso deve aver stipulato una convenzione contro le doppie imposizioni con l’Italia e tale convenzione deve prevedere la tassazione esclusiva nel Paese della residenza (Circolare Inps 176/1999).
«Si precisa che il principio appena esposto (tassazione esclusiva nel Paese di residenza), comprende solamente le pensioni della gestione previdenziale dei lavoratori privati (Inps), escludendo pertanto le pensioni corrisposte direttamente dallo Stato o da una sua divisione (per esempio gli insegnanti)», spiegano gli esperti. Inoltre, si ricorda che per ottenere la detassazione della pensione dall’Italia è necessario produrre all’Inps un certificato di residenza del Paese estero.
Da tenere in considerazione anche che, qualora lo Stato estero di residenza preveda particolari regimi agevolativi con i quali sia possibile ottenere un’esenzione totale dei redditi di fonte estera (come per esempio avviene in Portogallo), il fisco italiano potrebbe contestare l’applicabilità della convenzione contro le doppie imposizioni (o meglio contro le doppie non imposizioni). All’inizio potrebbe poi esser necessario fare un’ultima dichiarazione dei redditi dichiarando appunto conti e investimenti all’estero, come descritto nella guida sulla tassazione dei conti esteri.