Ho già avuto modo di parlare dei certificates, prodotti strutturati oggi sempre più spinti dalle banche. Il motivo è sempre lo stesso: proporre prodotto nuovi (e quindi ammantati come innovativi) che portano laute commissioni subito al collocamento. Lo sa bene chi in passato ha acquistato covered warrant e tutti i vari prodotti strutturati nel tempo proposti in banca. Prodotti costosi perché le commissioni non sono giustificate dal costo di costruzione del prodotto. Purtroppo però si evidenzia ancora una volta il conflitto di interesse delle banche ma anche l’ingenuità degli investitori, che dopo anni continuano a dar fiducia a chi gli ha collocato polizze vita, fondi, obbligazioni Parmalat e via dicendo.
Reclamo su certificates Unicredit
In questo caso prendo spunto da una lettera di protesta pubblicata sull’ultimo numero del Sole Plus, inserto del sabato del quotidiano finanziario.
“Nell’agosto 2017, su consiglio del mio “private banker” UniCredit, ho acquistato il certificato Uci Cash Col 20Tlx (Isin DE000HV408Q8). Alla scadenza del 23 novembre 2020, il titolo è stato rimborsato con una perdita in conto capitale del 60% (al netto del flusso cedolare, ndr). Oggi, dopo aver analizzato con più attenzione l’operazione eseguita, domando: in base quali criteri UniCredit ha potuto consigliare l’acquisto di un certificato con barriera al 65%, in una fase in cui (agosto 2017) il titolo sottostante (Leonardo) registrava, rispetto ai cinque anni precedenti, un incremento di prezzo del 300% e anche un’extraperformance, rispetto all’indice FtMib, di circa 260 punti percentuali (fonte Morningstar)? Il private banker UniCredit non mi ha dato risposte convincenti. Spero nella banca, nella cui attività di consulenza ho perso la fiducia”.
Veniamo quindi alla risposta della banca.
Abbiamo esaminato con attenzione quanto segnalatoci. I certificates, collocati su mercato primario, vengono proposti dalla banca nell’ambito di una consulenza, in cui viene valutata, tra i vari aspetti, la coerenza delle specifiche degli strumenti oggetto di consulenza, rispetto alle caratteristiche del cliente, elaborate sulla base delle evidenze fornite dallo stesso nell’ambito dell’intervista Mifid. Il certificato Cash Collect su Leonardo appartiene alla categoria dei certificati a capitale condizionatamente protetto: il capitale inizialmente investito è protetto alla scadenza, a condizione che il sottostante non scenda sotto il livello di barriera (in questo caso posta al 65% rispetto al valore iniziale), diversamente replica la stessa performance negativa, registrata del sottostante. Essendosi verificato quest’ultimo scenario, il certificato ha rimborsato rispecchiando la stessa performance negativa di circa il 60% rispetto al fixing iniziale all’emissione. Il possessore del certificato tuttavia ha subìto una perdita inferiore, in quanto il titolo ha erogato il pagamento di cedolini fissi mensili, per un totale del 10,50%. Questi sono stati corrisposti all’investitore durante i tre anni e tre mesi di vita dello strumento (0,24% al mese per il primo anno, 0,26% al mese per il secondo anno e 0,30% al mese per gli ultimi 15 mesi). La creazione dei certificati da parte di UniCredit avviene da sempre seguendo criteri metodici, disciplinati e rigorosi, sia nella scelta dei sottostanti, sia con l’applicazione di barriere conservative (basse).
Valutazione
Trovo significativo che il cliente si sia posto solo ora alcune domande sul certificato, in particolare sul sottostante che già aveva corso parecchio nei mesi precedenti. Lo dico perché la colpa non può esser addossata sempre e solo alle banche. L’investitore certi dubbi deve manifestarli prima e evitare di proseguire. Poi meglio tardi che mai, in questo caso la lezione è stata imparata con ritardo e ad alto prezzo, ma sempre utile per il futuro.
Notevole come la banca si rifugi invece in una risposta totalmente asettica e tecnica. Il prodotto è fatto così, prevedeva ciò etc. Si sofferma quasi beffardamente sul fatto che la perdita del 60% è stata alleviata da ben il 10% di cedole. Notare poi con quale dettaglio vengano riportate, come se fosse utile o inerente al problema a monte. Nessuna risposta viene data per esempio al perché aver proposto un simile prodotto con quel sottostante a un investitore non credo “speculativo”. Chiaro segno di chi sa di aver la coda di paglia e si rifugia dietro il legalese e il contratto. Buono per difendersi in tribunale ma non certo in una relazione con il cliente.
Purtroppo anche con la Mifid il cliente non è più tutelato rispetto al passato. Questo anche, come detto, per evidenti colpe dei risparmiatori. Si firma il questionario Mifid senza guardare, si investe seguendo i consigli dell’impiegato bancario o del promotore finanziario di turno.
Due regole per investire sui certificati
Ripeto il consiglio di sempre: i certificati hanno una loro utilità all’interno di una strategia di investimento e costruzione di un portafoglio finanziario. Vanno però conosciuti e capiti. Vale sempre la regola di non investire in ciò che non si conosce. E in questo caso aggiungo un’ulteriore regola ancor più rigida e vera: mai investire sui certificates al collocamento (cosiddetto mercato primario) vale a dire acquistare il nuovo prodotto in banca. Questo perché nel prezzo sono già inglobate le commissioni implicite del 3-4%. Vale a dire che se il sottostante non varia nei giorni pre quotazione, ci ritroveremo il nostro certificato comprato a 100 valutato a 96-97 non appena sarà negoziato in Borsa. Questo perché il mercato non è fesso e giustamente prezza il titolo al netto delle commissioni che rimangono sulle spalle dell’ingenuo di turno che le ha pagate alla banca.
Per chi volesse saperne di più il massimo esperto di questi strumenti in Italia è sicuramente Giovanni Borsi, di cui ti consiglio il libro “I certificati di investimento“. In alternativa, o anche entrambi, un libro appena uscito Savioli e Larese Filon: Certificati di Investimento: Manuale pratico per consulenti finanziari ed investitori.